Nell’Introduzione ai lavori del Consiglio Episcopale Permanente (23-25 settembre 2024), il Card. Matteo Zuppi, Presidente della CEI, ha fatto riferimento alla Settimana Sociale dei cattolici in Italia che si è svolta a Trieste. Di seguito le sue parole.
Quest’anno ricorrono anche i 40 anni della Revisione dei Patti Lateranensi (18 febbraio 1984), che li ha resi conformi ai principi introdotti nello Stato dall’entrata in vigore della Costituzione repubblicana e nella Chiesa dal Concilio Vaticano II e dal nuovo Codice di diritto canonico del 1983. Al contributo della Conferenza Episcopale si deve la scrittura dell’art. 1 dell’Accordo il quale, dopo aver riaffermato che lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani, impegna entrambi «alla reciproca collaborazione per la promozione dell’uomo e il bene del Paese». A quell’impegno di rispettosa libertà e leale collaborazione, la Chiesa in Italia intende restare fedele. Proprio la preoccupazione per la promozione del bene dell’uomo e il bene comune ha ispirato la comunità cristiana nell’organizzazione delle Settimane sociali, che quest’anno hanno celebrato la 50ª edizione.
La fede – ne siamo tutti convinti – incide nella vita delle persone e della società a breve e soprattutto a lungo termine. Se è vero che si nutre del dono dell’Eucaristia celebrata in fraternità, è altrettanto vero che non è relegabile nel privato. Papa Francesco ci ha ricordato, anzi, che ci si salva insieme. Fratelli tutti! Anche a Trieste, alla 50ª Settimana Sociale ha detto: «La fraternità fa fiorire i rapporti sociali; e d’altra parte il prendersi cura gli uni degli altri richiede il coraggio di pensarsi come popolo».
La fraternità cristiana, che testimonia la presenza del Signore tra noi, fa fiorire le relazioni sociali e contribuisce a creare un popolo. È la fraternità che è stata così vivace a Trieste, alla Settimana Sociale. L’ho notato negli incontri, nelle discussioni, nella preghiera comune: la gioia di essere insieme e di pensare al nostro Paese e al suo futuro. Mi sono chiesto il perché di una fraternità costruttiva e felice, come quella. È espressione di un bisogno profondo della comunità ecclesiale. È la gioia di guardare insieme al futuro, che si fonda sulla fede comune, vissuta nella preghiera e nella liturgia, sull’ascolto vicendevole, ma anche sulla lettura dei segni dei tempi della società italiana. Non solo insieme, ma in ascolto della Parola di Dio e rivolti alla vita, alla storia, attenti ai segni dei tempi. Questa attenzione al “fuori” ci aiuta a comprendere il mondo e la sua complessità perché il Vangelo sempre ci porta dentro il profondo della storia. Ci dice la Gaudium et spes: «È dovere permanente della Chiesa di scrutare i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del Vangelo, così che, in modo adatto a ciascuna generazione, possa rispondere ai perenni interrogativi degli uomini sul senso della vita presente e futura e sulle loro relazioni reciproche» (n. 4). Questo ci spinge a riflettere sulla tentazione di una vita o di dinamiche di riunioni autoreferenziali o autocentrate: la fraternità cristiana è sempre aperta e attenta al mondo in cui vive, perché ha la missione del Vangelo. Il Papa ci ha ricordato che «la democrazia non gode di buona salute», riprendendo di fatto il monito del Presidente Mattarella che, nel suo magistrale intervento, ha parlato di pericolo concreto di diventare «analfabeti di democrazia».
A Trieste abbiamo dedicato molto tempo al confronto nei “Tavoli della democrazia”, abbiamo vissuto la città mettendo in rilievo le buone pratiche e abbiamo animato le piazze con i dibattiti aperti a tutti: non abbiamo semplicemente parlato di partecipazione democratica, ma l’abbiamo realizzata concretamente. Da questi “Tavoli della democrazia” è emersa la richiesta pressante di un maggiore protagonismo dei giovani per il rinnovamento dello stile nell’impegno sociale e politico.
Ci auguriamo di raccogliere i frutti di questo lavoro, soprattutto nella formazione delle coscienze alla partecipazione democratica del nostro Paese. Non dobbiamo disperdere energie e idee. Sappiamo che, quando la Chiesa non si chiude in sé stessa, ma abita i territori, costruisce reti e favorisce quella conversione al bene comune, che ha ricadute positive su tutti. Davvero la Dottrina sociale è un patrimonio che consente a tutti, in particolare ai laici cattolici, di avere un faro per una navigazione sicura nel mare della vita sociale a volte così burrascoso. Ringraziamo quindi tutti coloro che hanno contribuito alla buona riuscita della Settimana Sociale, in particolare il Comitato Scientifico e Organizzatore guidato da Mons. Renna. A noi Vescovi il compito adesso di fare discernimento per stimolare la formazione sociopolitica e favorire un rinnovato protagonismo laicale.