La Diocesi di Bergamo prosegue – nell’ordinarietà – il cammino tracciato dalla Settimana Sociale di Trieste. Stefano Remuzzi, direttore diocesano dell’Ufficio di Pastorale Sociale e del Lavoro, racconta come questa esperienza abbia rafforzato il lavoro già in atto sul territorio: “a Bergamo siamo sempre stati attivi. La vocazione dell’ufficio è sempre stata quella di una buona collaborazione e ora si è rafforzata. Trieste ha portato a una sempre più forte collaborazione con il territorio. Stiamo lavorando su vari ambiti: il lavoro e l’economia, il tema sociopolitico e ambientale, la pace, la formazione. Dopo la Settimana Sociale, lo stiamo facendo con ancora più convinzione”.
Un aspetto fondamentale emerso a Trieste è stata la necessità di una Chiesa più presente sul territorio. “Trieste – rileva Remuzzi – ha dato quello spirito di uscita, di presenza sul territorio, molto forte. Ho visto una Chiesa che sta fuori, che sta dove le persone vivono. Il tema della democrazia è stato centrale: riguarda la città in movimento e la pastorale sociale, che ha a che fare con la vita delle persone”. Per mantenere viva questa partecipazione, la Diocesi di Bergamo ha puntato su percorsi educativi. “Da dodici anni – spiega il direttore diocesano – lavoriamo con una scuola che si occupa di partecipazione, la scuola WeCare. Si occupa di temi come democrazia, Costituzione, partecipazione, portandoli nei territori. Crediamo sia necessario andare dove la gente si trova”. L’iniziativa si rivolge ai giovani e ha una forte presenza capillare nel territorio bergamasco: “andiamo dove ci chiamano, portiamo contenuti e sensibilizziamo sul tema della partecipazione”.
Ma cosa manca oggi nella partecipazione dei cattolici? Remuzzi sottolinea una criticità: “Manca un coinvolgimento di sistema. Dobbiamo uscire dall’ottica chiusa, non solo a livello politico, ma anche nel modo di strutturare il lavoro. Non si tratta solo delle associazioni ecclesiali, ma di un’apertura più ampia, per ascoltare tutti e raccogliere nuove idee”. E aggiunge: “i cattolici devono essere partecipativi per avere una visione più ampia. Questo è il messaggio che la Settimana Sociale ha lanciato”.
Per chi desidera mettersi in gioco, il direttore suggerisce un metodo chiaro: “attivare percorsi di formazione socio-politica. Non significa andare nei territori per insegnare qualcosa, ma mettersi a servizio di chi li vive, per aiutarli a riflettere su politica e bene comune. Non si tratta di essere i più bravi, ma di collaborare per far crescere la consapevolezza”. Un aspetto chiave è il lavoro di rete: “non basta – osserva – fare due iniziative l’anno, bisogna costruire percorsi di lungo periodo. A Bergamo il contesto è fervido, ma in altre realtà è più difficile. Il consiglio è aprirsi alle collaborazioni, ascoltare i bisogni del territorio e costruire massa critica”.
La partecipazione politica, inoltre, non si esaurisce nel voto o nei partiti: “fare volontariato, essere allenatore in una polisportiva, animatore in oratorio: sono tutte forme di partecipazione. Bisogna far capire alle persone che prendersi cura del bene comune è un atto politico”. Infine, Remuzzi indica un esempio concreto di successo: “La scuola di formazione socio-politica WeCare è un esperimento che dura da anni e funziona. Non sempre ha grandi numeri, ma porta avanti un esercizio di partecipazione che è prezioso. Tratta temi cruciali come la Costituzione e la democrazia, che altrimenti rischierebbero di rimanere ai margini”. Bergamo continua così il suo percorso, incarnando lo spirito di una Chiesa in uscita, impegnata sul territorio e capace di costruire reti di partecipazione per un futuro condiviso.
Andrea Canton