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“Famiglie di famiglie”. La storia di partecipazione della comunità Bethesda di Padova

“Famiglie di famiglie”. La storia di partecipazione della comunità Bethesda di Padova

Alla Settimana Sociale di Trieste, Luana De Martin, membro della Comunità Bethesda di Padova, ha raccontato con la sua “buona pratica” una scelta coraggiosa e controcorrente: vivere in una “famiglia di famiglie”, come una “Chiesa domestica” che sfida il crescente individualismo della società moderna. Si tratta di un’esperienza nata dalla necessità di rispondere alle varie forme di solitudine che spesso caratterizzano la vita contemporanea: “L’unione e lo stare insieme ci aiutano a vivere una quotidianità più ricca e autentica”. Questa scelta di vita, però, non è priva di sacrifici. La comunità Bethesda, ad esempio, è composta da persone che si sono unite per condividere non solo il proprio percorso spirituale, ma anche i piccoli gesti quotidiani e i servizi verso il prossimo.
La “famiglia di famiglie” è un progetto che affonda le sue radici in un sogno, ma anche in un bisogno concreto: quello di creare un ambiente che renda possibile una pratica della fede autentica e costante, senza essere sommersi dalle distrazioni della vita moderna. “Partiamo tutti quanti dal sogno, ma anche dal bisogno di essere, di dare frutto a tutto l’amore che abbiamo ricevuto”, ha spiegato De Martin. Per loro, il cammino di fede è il collante che tiene unite persone con storie e percorsi diversi.
Bethesda non è solo un luogo di incontro spirituale: offre anche accoglienza a chi si trova in situazioni di difficoltà. Tra le iniziative della comunità, infatti, c’è l’ospitalità verso mamme con bambini, che trovano in questo contesto un rifugio temporaneo e il sostegno di una famiglia allargata: “Abbiamo pensato che unendoci avremmo potuto fare sia l’una che l’altra cosa, quindi sia il servizio – nel nostro caso, oltre all’accoglienza di gruppi, accogliamo una mamma con bambino – sia la condivisione di un cammino di fede”.
De Martin si è detta consapevole di come la scelta di queste comunità di famiglie sia una risposta radicale all’individualismo e all’autodeterminazione imperanti, che spingono le persone a credere che si debba bastare a sé stessi: “Noi cerchiamo di dare testimonianza del fatto che ci si può appoggiare e non necessariamente nella straordinarietà di mettere su una cosa nuova e grande come abbiamo fatto noi, ma anche nella propria piccola quotidianità, con i vicini di casa o con i colleghi di lavoro”. Vivere insieme, per loro, non significa evitare le difficoltà, ma arricchire il cammino, condividendo gioie e fatiche.
Per il futuro, De Martin spera che questa esperienza possa diventare più accessibile ad altre persone e famiglie. La comunità ha dovuto superare non pochi ostacoli burocratici per realizzare questo progetto e continua a lottare contro le complessità amministrative che spesso scoraggiano iniziative simili: “Mi auguro – ha concluso – che pian piano si riesca a costruire sempre più una vita basata sulla relazione piuttosto che sulla solitudine, sulla fatica”.

Andrea Canton