A cura di Giovanni Grandi, con Matteo Cremaschini, Paola Massi, Luca Micelli e Filippo Vanoncini
La partecipazione popolare è il motore della vita democratica, ma per spingere le comunità e il Paese verso un futuro di coesione e sviluppo, questo motore ha bisogno di energia e di manutenzione straordinaria e, soprattutto, ordinaria.
Dalle riflessioni dei 2000 partecipanti al percorso preparatorio verso la cinquantesima Settimana Sociale dei Cattolici in Italia (Trieste, 3-7 luglio 2024) emerge uno spaccato incoraggiante sulle ricadute sociali dell’impegno corale dei cittadini – nelle associazioni, nelle buone pratiche – ma anche uno sguardo lucido riguardo i fattori che possono ostacolare e frenare la partecipazione.
Partecipare ad un’azione sociale nella prospettiva del bene comune crea coesione, infonde motivazione e accresce le competenze personali, favorisce lo sviluppo della capacità di coordinamento, rende le iniziative più incisive socialmente e politicamente.
D’altra parte, il motore della partecipazione incontra resistenze specifiche: deficit di ascolto e accoglienza, leadership autoreferenziali, difficoltà nel decidere insieme e nel fare sintesi, processi organizzativi dispersivi e – nelle vite di quanti si impegnano – un ormai endemico sovraccarico e la fatica nel comporre i tempi di vita con quelli del servizio, immersi in una realtà che chiede molto. E che lo chiede, soprattutto, a quel 10% di Italiani che timbrato il cartellino in uscita scelgono di dedicarsi (anche) al sociale e al politico.
Chi si impegna e invita altri a farlo per costruire bene comune con tutti sembra dire a gran voce che quel che infonde energia alla democrazia è molto più il “contare” che non il “contarsi”: il potere (kratos) del popolo (demos) non è tanto una questione di processi o meccanismi di voto per individuare i propri rappresentanti nelle istituzioni e men che meno di consultazioni plebiscitarie e dirette su questioni specifiche, ma di tessitura di legami sociali, di qualità nelle relazioni orizzontali di cooperazione e verticali di sintesi e coordinamento. Emerge una potente attesa di rianimazione e cura dell’“intermedio”: dei luoghi comunitari, a misura d’uomo, in cui poter sperimentare processi partecipativi e coltivare relazioni significative, tenendo conto dei tempi concessi da vite sempre più frenetiche e a rischio di dispersione.
Dai cittadini che già scelgono di ritrovarsi, di discutere, di progettare e di trasformare la realtà a partire dai bisogni delle persone, sale una domanda ineludibile di “politica”: il futuro comune occorre sognarlo e quindi pensarlo insieme, forse sacrificando qualcosa in termini di rapidità e di reattività in favore di una maggiore inclusione nei processi ideativi e decisionali. Sono questi processi intermedi, che un tempo si sarebbero detti “prepolitici”, ma che forse vanno più correttamente intesi come pienamente politici, generativi e manutentivi di città e di cittadinanza, a soffrire di più nell’Italia di oggi, secondo la voce di chi già si impegna.
Pare allora maturare una domanda di rivisitazione degli stili di conduzione e sostegno delle esperienze di gruppo, una domanda di “sinodalità” sarebbe facile dire, ma anche una attesa di coordinamento, di messa a sistema non solo di forze ma anche di idee, di soluzioni, di visioni lunghe sulla società che vogliamo essere. Una domanda di partecipazione a tutto campo, che anima speranze ma che insieme solleva interrogativi e invita a riflettere.
L’indagine che qui presentiamo raccoglie l’eco di esperienze di partecipazione vive in tanti dei nostri territori: è un primo importante frutto della 50a Settimana Sociale, ed è offerta anzitutto ai delegati, perché possano farne tesoro per il loro lavoro che svolgeranno a Trieste. È poi messa a disposizione, più estesamente, di quanti si interrogano su come poter rilanciare la partecipazione democratica nel nostro Paese.