A quasi un anno dalla 50ª Settimana Sociale dei Cattolici in Italia, Trieste torna a essere crocevia di riflessione e rilancio. L’incontro dell’11 giugno, ospitato nella Camera di Commercio e trasmesso in streaming, ha segnato un nuovo capitolo: non la celebrazione di un evento passato, ma l’impegno concreto per proseguire un cammino condiviso. Al centro, la restituzione dei frutti emersi e l’appello alla corresponsabilità nella vita democratica.
Nel suo saluto, il vescovo di Trieste, mons. Enrico Trevisi, ha ricordato la natura “proattiva” e generosa dell’intera città durante le giornate della Settimana Sociale, sottolineando come quel clima abbia prodotto “non solo teoria, ma prassi”. Rievocando le parole del romanzo Diario di un curato di campagna, ha indicato la Rerum novarum come un’icona viva: non una pagina da leggere “con l’orlo delle ciglia”, ma un testo che scuoteva le coscienze. Oggi, ha detto, serve una partecipazione “passionale”, che non disquisisce solo di problemi ma si misura “col sangue e la carne degli uomini e delle donne di oggi”. Trieste, città-porto e terra di confine, richiama alla responsabilità globale di una Chiesa che accompagna le speranze e i drammi dell’umanità.
A restituire la voce dei delegati è stato Giovanni Grandi, filosofo morale e membro del Comitato scientifico. Ha illustrato l’impianto metodologico che ha condotto alla stesura delle 19 raccomandazioni e delle 230 proposte, frutto di un lavoro cooperativo che ha coinvolto oltre 1100 persone. “Non è un documento redatto da una segreteria – ha precisato – ma il risultato di processi di convergenza reale”. Tra i nodi emersi: la difficoltà di coinvolgere i giovani e la fragilità della formazione sociopolitica nelle comunità cristiane. L’invito che ne scaturisce è chiaro: “non polarizzare, ma riunire; non competere, ma cooperare”. La democrazia, ha ricordato, può e deve fondarsi su logiche collaborative. Con passione e lucidità, Elena Granata – urbanista e vicepresidente del Comitato – ha interpretato le raccomandazioni come segnali di una comunità che “non cerca ricette, ma condizioni di possibilità”. Le tre urgenze che emergono dai lavori? Formazione, connessione tra generazioni e ricucitura tra impegno sociale e politico. “Non possiamo fare comunità se siamo disgregati – ha detto – e non possiamo fare politica senza prima essere capaci di vivere relazioni vere”. Il cuore del suo intervento è una domanda: “siamo ancora capaci di cooperare, di mettere da parte i particolarismi per camminare insieme?”.
Don Luis Okulik, vicario giudiziale e segretario della Commissione per la Pastorale sociale del Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa (Ccee), ha voluto collegare la riflessione sociale al magistero nascente di papa Leone XIV, rileggendo l’attualità della Rerum novarum alla luce delle sfide poste dall’intelligenza artificiale. Ha richiamato la necessità di promuovere alfabetizzazione digitale e senso critico, evitando da un lato l’indottrinamento e dall’altro la disgregazione sociale. La dottrina sociale, ha evidenziato, “è parte integrante della fede” e deve saper formare coscienze capaci di giudizio prudenziale. “Siamo dentro un cantiere ma – ha osservato – dobbiamo evitare che le rivoluzioni si contagino con il male del passato”.
Il vescovo Trevisi, chiudendo i lavori, ha tracciato una linea continua che va da Leone XIII a Leone XIV, passando per Giovanni XXIII, Paolo VI, Benedetto XVI e Francesco. Ogni enciclica, ogni passo magisteriale, ha cercato di rispondere a una nuova “questione” sociale. La vera novità oggi, ha concluso, è il popolo in cammino: donne e uomini che scelgono la partecipazione e si fanno protagonisti della costruzione del bene comune.
Andrea Canton

