Il terzo appuntamento del ciclo di webinar “Camminare insieme dopo Trieste” ha affrontato un tema cruciale per la governance moderna: la creazione di alleanze tra cittadini e amministrazioni pubbliche attraverso i patti di collaborazione. Questo strumento si presenta come un modello innovativo per una gestione condivisa dei beni comuni all’insegna di un’applicazione più che concreta del principio di sussidiarietà.
I fondamenti dei Patti di Collaborazione
Sebastiano Nerozzi del Comitato Scientifico delle Settimane Sociali, ha aperto il webinar citando Papa Francesco: “Bisogna assumere cordialmente la dimensione locale, perché possiede qualcosa che il globale non ha: essere lievito, arricchire, avviare dispositivi di sussidiarietà”. Nerozzi ha poi richiamato alcuni passaggi dell’intervento di Filippo Pizzolato a Trieste ricordando la vitalità della democrazia locale e della “cittadinanza amministrativa” con forme di “partecipazione collaborativa, tra cittadini e istituzioni, secondo il principio di sussidiarietà orizzontale, come attesta la moltiplicazione dei regolamenti per la cura dei beni comuni”.
Gregorio Arena, fondatore di Labsus (Laboratorio per la Sussidiarietà), ha spiegato che “i patti di collaborazione rappresentano un cambio di paradigma”. “Non si tratta – ha aggiunto -di delegare responsabilità ai cittadini, ma di costruire un’alleanza fondata sull’iniziativa autonoma dei cittadini stessi”. Questo modello si distingue dalle forme tradizionali di partecipazione perché nasce dal basso e favorisce un rapporto paritario tra amministrazioni e cittadini.
Esperienze di successo nei beni pubblici e nei beni ecclesiastici
Francesca Giani, della Fondazione Humanitate ETS, ha esplorato la possibilità di estendere i patti di collaborazione ai beni ecclesiastici, non nascondendo la complessità normativa di questi beni, spesso soggetti a leggi civili e canoniche: “Gli immobili ecclesiastici devono essere destinati a finalità che rispecchino la missione della Chiesa. Questo comporta sfide legate al loro utilizzo sociale”. Nonostante le difficoltà, Giani ha evidenziato come i patti possano, a certe condizioni, rappresentare una soluzione per dare nuova vita a beni che rischiano di restare inutilizzati.
Giovanni Spinozzi, della Pastorale Sociale e del Lavoro di Senigallia, ha raccontato l’esperienza del parco cittadino rigenerato grazie a un processo partecipativo. “Abbiamo coinvolto cittadini, associazioni e scuole, raccogliendo oltre 180 proposte. Da questo processo è nato un progetto che ha ridato vita al parco, trasformandolo in un luogo di aggregazione e educazione ambientale”. I Patti, insomma, possono trasformare spazi abbandonati in beni comuni vivi e partecipati.
Sfide e prospettive per i Patti di Collaborazione
Nonostante i successi, permangono sfide legate alla burocrazia e alla resistenza al cambiamento. Arena ha evidenziato: “I funzionari pubblici spesso temono la novità. Ma i risultati dimostrano che i patti non solo funzionano, ma migliorano la qualità della vita comunitaria”. Per superare queste barriere, è essenziale un lavoro di formazione e sensibilizzazione, sia per i cittadini che per le amministrazioni.
Un altro aspetto cruciale riguarda i beni ecclesiastici. Giani ha proposto un approccio innovativo: “Bisogna attivare processi che superino la parcellizzazione della proprietà e semplifichino le normative, rendendo più agevole il riuso sociale di questi beni”.
I patti di collaborazione non sono solo strumenti di gestione, ma veri e propri incubatori di cittadinanza attiva. Arena ha concluso il suo intervento con una riflessione ispiratrice: “I patti danno speranza, fanno sentire i cittadini protagonisti, meno isolati e utili per gli altri. Al cuore della partecipazione c’è la speranza: senza di essa, non c’è democrazia”.
Andrea Canton