I “laboratori della democrazia”. Primi riscontri sul metodo di lavoro e sullo svolgimento dell’itinerario proposto
La metodologia adottata
L’itinerario dei Laboratori della partecipazione è stato progettato sulla base degli Esercizi di Discernimento in comunità (una metodologia elaborata dal prof. Giovanni Grandi) per rispondere all’esigenza di coinvolgere tutti i Delegati e Delegate in un’esperienza di ascolto della realtà, di ascolto reciproco e di individuazione di prospettive condivise, emersa con forza in vista della Cinquantesima Settimana Sociale, anche per impulso del cammino sinodale.
Il tema stesso esigeva una modalità nuova di lavoro: non si sarebbe potuto mettere a tema la “partecipazione” nella modalità di un convegno classico, occorreva adottare soluzioni innovative che la facessero sperimentare, e così è stato a detta di tanti Delegati, pur dovendo fare i conti con alcuni limiti, dovuti soprattutto alla ristrettezza degli spazi e dei tempi riservati ai laboratori. Tempi che, in ogni caso, sono stati il doppio rispetto a quelli dedicati all’ascolto delle relazioni.
La dinamica prevista per le tre giornate di lavoro
La dinamica complessiva ha intesto realizzare un “processo” in grado di coinvolgere i partecipanti in una sequenza di passaggi coordinati.
Il primo, a cui è stata dedicata la giornata inaugurale, puntava a favorire un iniziale contatto tra i Delegati e a far emergere una rosa di “sfide” rispetto alla partecipazione, avvertite come prioritarie all’interno di ciascun laboratorio.
La platea è stata organizzata in 44 circle da circa 24 persone, che hanno potuto proporre e ascoltare altrettante indicazioni sui nodi di cui farsi carico, in diversi contesti (dalla salute allo sport, dall’educazione alla cura dell’ambiente).
Nella seconda giornata la platea ha replicato medesima la dinamica di ascolto e confronto, variando però le focalizzazioni. In questo modo è stato possibile avanzare sia tematicamente sia metodologicamente, avendo affrontato e – per quanto possibile – risolto le principali difficoltà vissute il primo giorno, connesse all’adozione di una modalità articolata di lavoro, che per molte persone risultava nuova. I delegati si sono divisi in due macro-gruppi, pur rimanendo organizzati in circle, per mettere a fuoco due serie di “raccomandazioni” per sostenere la partecipazione: la prima più rivolta alla dimensione sociale, la seconda a quella politica. Dalla seconda giornata, che è proseguita con un ulteriore laboratorio, che ha coinvolto i facilitatori dei circle, sono emerse 20 raccomandazioni (10 “sociali” + 10 “politiche”), espressione condivisa dei mille Delegati che hanno animato i lavori.
La terza giornata è stata infine dedicata all’elaborazione di proposte concrete, che sono state immaginate da più di 250 sottogruppi, intrecciando le sfide individuate nella prima giornata, le raccomandazioni emerse nella seconda e le suggestioni raccolte dalle buone pratiche presenti alla Settimana Sociale.
Un primo bilancio
Nel complesso l’adozione delle modalità di lavoro previste dalla metodologia ha consentito di valorizzare il contributo di tutti/e i/le Delegati/e, favorendo la realizzazione di un movimento di consultazione “dal basso” e di emersione di indicazioni convergenti: la dinamica del “convalidare” ha sostituito positivamente quella del “prevalere”, mostrando la possibilità concreta di dar vita a processi efficaci di ascolto comunitario e di individuazione di priorità condivise, secondo uno stile autenticamente democratico.
Sono allo stesso tempo emerse alcune attenzioni specifiche da tenere presenti nell’adozione del metodo in assemblee così estese, tra cui è utile evidenziarne le più rilevanti.
Anzitutto va notato che ciascuna fase di lavoro (studio personale, condivisione in circle, studio nelle terne…) richiede un tempo adeguato, che non può essere oltremodo compresso. Data la complessiva ricchezza del programma della Settimana Sociale, i tempi sono stati ridotti al minimo, in alcuni passaggi – tenendo conte che per molte persone la modalità di lavoro era nuova – comprimendoli eccessivamente e senza poterli accompagnare da adeguate istruzioni (anche queste ridotte all’essenziale per ragioni di tempo). Per un corretto svolgimento, e soprattutto per favorire una buona esperienza, è necessario rispettare le durate minime previste dal metodo per ciascun passaggio.
Un secondo nodo di rilievo è costituito dagli ambienti di lavoro. La condivisione in circle richiede un contesto che riesca ad assicurare un certo silenzio e, in ogni caso, la possibilità di ascoltare le altre persone agevolmente, senza eccessivo rumore ambientale. La compresenza di quasi 40 circle nello stesso ambiente (poi parzialmente risolta con l’utilizzo dell’ambiente della plenaria riallestito allo scopo) ha reso più difficile lo sviluppo di questa fase, che – pur essendo riuscita grazie all’impegno delle persone – ha richiesto ai partecipanti uno sforzo eccessivo.
Un terzo nodo riguarda l’impiego di tecnologie informatiche a supporto del processo. L’impiego della webapp dedicata di supporto ha consentito di risolvere con rapidità molti passaggi che, se sviluppati esclusivamente attraverso le schede di lavoro cartacee, avrebbero richiesto molto più tempo. In particolare poi, la risorsa informatica assicura piena fedeltà ai contenuti proposti da ciascuno/a e garantisce la trasparenza del processo. Per contro è necessario che tutte le persone (o comunque la maggior parte) abbiano a disposizione uno smartphone o un tablet, che abbiano una alfabetizzazione digitale di base e che abbiano svolto preventivamente alcune operazioni, come l’iscrizione e l’accesso alla piattaforma. Di fondamentale importanza è poi il corretto dimensionamento della struttura tecnologica di appoggio: l’utilizzabilità dello strumento dipende dalla capacità del server e da quella della rete wi-fi. Nell’esperienza triestina le principali difficoltà sono derivate dal sottodimensionamento della rete wi-fi, che non consentendo l’aggiornamento in tempo reale dei dati caricati in piattaforma, ha reso in alcuni casi poco reattiva la webapp, costringendo a passare alla modalità cartacea di raccolta delle sintesi.
Un quarto nodo – inestricabile dal versante organizzativo – riguarda la disponibilità delle persone partecipanti ad attenersi alle “regole” di un processo che esige un certo rigore, soprattutto nella fase dedicata all’ascolto reciproco. Il comprensibile desiderio di esprimersi e di condividere idee e considerazioni trova un limite oggettivo nel tempo a disposizione per i lavori di gruppo (questo indipendentemente dallo specifico dell’esperienza triestina): è inevitabile che la possibilità di distendere in modo articolato un ragionamento sia inversamente proporzionale a quella di consentire a tutti/e i/le partecipanti di farlo. L’attesa di avere a propria disposizione anche solo 5 minuti di tempo in un circle di 20 persone equivale perciò alla richiesta implicita di comprimere, se non di annullare, il tempo a disposizione delle altre persone: di questo non sempre si è consapevoli. Da questa consapevolezza dovrebbe tuttavia discendere deontologicamente proprio l’accoglienza del limite di tempo, che il metodo favorisce prevedendo la sola lettura di appunti brevi, preparati in una fase precedente a quella della condivisione. La non accoglienza di questo limite strutturale porta alla luce, in alcuni più che in altri, la presupposizione di avere cose più importanti da dire rispetto agli altri o di poter far valere, nel tempo dell’ascolto, una asimmetria di ruolo (e quindi di diritto ad esprimersi più diffusamente e ad essere ascoltati) che un circle per sua natura non ammette. Certamente – ed è accaduto – lì dove emergono esplicitamente queste pretese, nella forma di una richiesta di deroga alle regole, la dinamica dell’ascolto ne soffre, ma anche questa sofferenza è istruttiva: anche l’esperienza fallimentare costituisce un passo avanti per un gruppo o una comunità, perché evidenzia in modo più plastico il disvalore del mancato rispetto di una regola di auto-disciplina, lì dove si traduce immediatamente (anche se non intenzionalmente) nel mancato rispetto delle altre persone, della loro intelligenza, del loro pari diritto di espressione.
Possibilità di adozione della metodologia in altri contesti
Una nota ulteriore riguarda infine la possibilità di replicare altrove e in altri contesti la metodologia degli Esercizi di Discernimento in Comunità. Dal punto di vista dei partecipanti non ci sono particolari problematiche da segnalare: dalle diverse esperienze emerge che, se impostato correttamente e ben accompagnato, il percorso richiede qualche fatica ma fin dal primo utilizzo risulta accessibile a tutti.
Diverse sono invece le considerazioni da fare riguardo la riprogettazione e l’adattamento.
L’adozione del metodo e dei materiali che lo supportano include diversi aspetti, tra cui lo studio preliminare dell’oggetto di discernimento, la corretta formulazione delle focalizzazioni da proporre ai partecipanti, la scelta del flusso di lavoro che a sua volta dipende dalla numerosità dei partecipanti, dalle possibilità di articolazione dei gruppi di lavoro, dai tempi e dai luoghi a disposizione, l’allestimento dell’infrastruttura informatica di supporto e la preparazione delle schede di lavoro. Ogni percorso di una certa complessità richiede quindi una progettazione realizzata da persone formate all’impiego della metodologia, che ne abbiano in particolare ben compreso i presupposti teorici (e quindi anche i limiti).
Tenendo conto di questi aspetti, sussiste senz’altro la possibilità di riprenderne autonomamente alcuni aspetti in singoli gruppi di lavoro (indicativamente fino alla consistenza di un circle di 18-21 persone), replicando fedelmente percorsi già sperimentati e schede di lavoro già predisposte e validate, mentre per un impiego che richieda adattamento degli obiettivi e di altri degli aspetti richiamati sopra occorre prevedere l’intervento di facilitatori formati e abilitati. È sconsigliabile l’improvvisazione, perché porta con sé il rischio di allestire itinerari inavvertitamente poco adatti a sostenere delle dinamiche che in ogni caso rimangono delicate. Va in ogni caso tenuto in considerazione che l’utilizzo corretto del metodo e dei materiali di supporto (le schede di lavoro) – proprio per poterne garantire le caratteristiche, in particolare lì dove occorre una progettazione ad hoc – è soggetto a licenza. L’equipe che sviluppa la metodologia è in ogni caso disponibile ad essere contattata per valutare caso per caso le soluzioni migliori e l’eventuale opportunità di una consulenza di progettazione e/o di accompagnamento. Sono anche in previsione alcuni seminari di formazione alla progettazione nel corso del 2025.