Al cuore della Democrazia

Settimane Sociali

I Patti di collaborazione, un modello di partecipazione attiva

I Patti di collaborazione, un modello di partecipazione attiva

All’evento “L’Amministrazione condivisa per una città plurale”, Gregorio Arena, fondatore di Labsus, Laboratorio per la sussidiarietà, ha presentato un bilancio positivo dei patti di collaborazione, strumento chiave per l’amministrazione condivisa dei beni comuni. Oltre 8000 patti attivi in Italia dimostrano che sono possibili nuove forme di cittadinanza attiva, espressione del principio di sussidiarietà inserito nel 2001 in Costituzione all’art. 118, ultimo comma.
Arena ha raccontato come i patti di collaborazione siano nati da una sinergia tra Labsus e il Comune di Bologna tra il 2012 e il 2013. “Abbiamo lavorato con i dirigenti, gli assessori e gli abitanti di Bologna per scrivere quello che è stato il primo regolamento per l’amministrazione condivisa dei beni comuni”, ha spiegato Arena. Il regolamento è stato presentato ufficialmente a Bologna il 22 febbraio 2014 e da allora è stato adottato da 300 città italiane, da Milano a Palermo, da Bari a Genova.
I patti di collaborazione sono accordi tra cittadini e amministrazioni, molto semplici da redigere, che permettono una gestione condivisa dei beni comuni. A differenza degli strumenti amministrativi tradizionali come le concessioni, gli affidamenti o le adozioni, i patti non sono bilaterali ma plurali, coinvolgendo normalmente diverse associazioni e l’amministrazione comunale. Inoltre sono dinamici, nel senso che nel corso della loro implementazione possono inserirsi nel patto altri soggetti, sia singoli cittadini, sia comitati o associazioni, aggiungendo così nuove competenze e risorse. 
Secondo Arena, circa la metà degli ottomila patti attivi riguarda il verde urbano, sia parchi e giardini pubblici, sia aree spesso abbandonate che vengono recuperate e trasformate in spazi di socializzazione. Anche le scuole sono spesso oggetto di patti di collaborazione, con genitori, abitanti del quartiere, studenti e insegnanti che collaborano per la cura della scuola come bene comune. Si tratta, ha detto, di “beni comuni molto particolari, perché sono al tempo stesso beni comuni materiali (l’edificio e gli spazi intorno) ed immateriali, cioè l’offerta formativa”.

I patti di collaborazione sono un’applicazione pratica del principio costituzionale di sussidiarietà orizzontale che, come Arena ha spiegato, legittima il volontariato e favorisce l’alleanza tra cittadini e amministrazione. Inoltre, non sono importanti solo per la cura materiale dei beni, ma soprattutto per il rafforzamento dei legami di comunità. “Sono incubatori di socializzazione, producono beni relazionali, capitale sociale e coesione sociale”, ha affermato Arena, per il quale “le persone che partecipano ai patti imparano a risolvere i problemi insieme con gli altri, rafforzando il senso di comunità”. E c’è chi, dopo aver vissuto l’esperienza di un patto, ha scelto di impegnarsi in politica.
Alla prossima Settimana Sociale di Trieste dal 3 al 7 luglio si discuterà del tema della partecipazione e della democrazia. Secondo Arena, i patti di collaborazione sono esempi molto significativi di partecipazione alla vita pubblica e di ricucitura del rapporto tra cittadini e istituzioni: “i patti sono ‘luoghi’ dove le persone partecipano alla vita pubblica, instaurando un rapporto di fiducia con le istituzioni. E questo, in tempi di astensionismo e qualunquismo crescenti, è fondamentale per la tenuta della democrazia nel nostro Paese”.

Andrea Canton