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Settimane Sociali

Nerozzi: uscire dalle logiche di bandiera e cercare una mediazione alta

Nerozzi: uscire dalle logiche di bandiera e cercare una mediazione alta

Non solo un testo a carattere sociale e neanche uno scritto puramente politico, ma per Sebastiano Nerozzi, segretario del Comitato scientifico delle Settimane sociali dei cattolici e docente di Storia del pensiero economico all’università Cattolica del Sacro Cuore, il Codice di Camaldoli è soprattutto un documento «di profonda spiritualità, che testimonia il senso di una ricerca, non fatta singolarmente ma comunitariamente, ecclesialmente » e dal quale «emerge spontaneamente una vitalità» figlia del desiderio di riscatto in un periodo di libertà negata.

Professore, qual è il senso del Codice di Camaldoli, cosa significò quel testo scritto in un momento così critico della nostra storia?
Si tratta della riflessione di un gruppo di intellettuali formati nell’alveo della Dottrina sociale della Chiesa ma desiderosi di fare un passo avanti, di adottare criteri di discernimento per il tempo che stavano vivendo. Cioè non limitarsi ad applicare una dottrina già esistente ma di ricavarne principi di azione, attraverso la mediazione delle scienze sociali e partendo da una lettura profonda della realtà italiana. Non si trattava di dettare un’agenda politica del Paese, che sarebbe stato prematuro, ma di gettare le basi su cui fondare e orientare una nuova fase per l’impegno politico dei cattolici. Il Codice aprì una stagione costituente, gettando le basi per una riflessione matura dei cattolici sul tema della democrazia. Non tutto ciò che c’è nella Costituzione viene dal Codice ma certamente diede un contributo importante e molte sue pagine echeggiano nitidamente negli articoli della nostra Carta Costituzionale.

La visione espressa nel Codice è stata realizzata?
Sicuramente dobbiamo rifuggire dalla tentazione di glorificare l’impegno dei cattolici in politica nel corso della Prima repubblica: gli errori e i limiti non sono naturalmente mancati. Certamente però è stata un’epoca che ha visto la realizzazione di importanti progressi per il Paese. Progressi non solo quantitativi (in termini di crescita economica e di modernizzazione dell’Italia), ma anche inclusivi verso i gruppi e le aree più marginali del Paese: in quegli anni molte persone hanno potuto accedere alla proprietà di una casa o avviare percorsi di lavoro dignitoso laddove le famiglie di origine non avevano potuto. Ancora, il divario tra le varie zone di Italia si è ridotto. Quindi ha prodotto alcuni risultati positivi che però non sono per sempre e non sono stati esenti da errori. Probabilmente anche il welfare è stato costruito in modo frammentario. Poco si è investito sulla qualità della pubblica amministrazione e sulla ricerca. L’impresa pubblica ha certamente dato una forte spinta alla crescita, anche se, alla lunga, ha mostrato alcuni limiti di impostazione e, soprattutto, di gestione.

Cos’ha da dire il Codice alla politica di oggi?
Credo che sia innanzitutto una lezione di metodo. Quella di valutare ogni questione a partire da valori fondamentali e ponendosi obiettivi di lungo periodo. Sapendo che le risposte andranno cercate per tentativi e sperimentazioni, ma avendo in mente le grandi sfide del Paese. Del resto l’ottica di breve periodo non produce risultati duraturi e questo lo dimostra il fatto che molti dei problemi che non riusciamo a risolvere sono gli stessi da oltre vent’anni. Oggi ci rendiamo conto che ancora molta è la strada da fare. Viviamo in un Paese che ancora fa fatica a includere tutti, i giovani, le donne ma anche i nuovi italiani che arrivano con tanto potenziale per costruire un bene comune per loro e per noi e che invece sono contrastati con leggi spesso punitive e ingabbiati nella marginalità, con grave danno per il Paese. Abbiamo ancora 6 milioni di cittadini esclusi dal mondo del lavoro, insieme con una grande povertà che un lavoro precario e sottopagato spesso non riesce a scalfire.

Ma qual è il compito del cattolico in politica oggi?
Credo che oggi i cattolici che scelgono questa particolare forma di servizio, di carità, che è la politica, sono molto coraggiosi. Si tratta di una scelta per nulla facile, in un contesto molto frammentario, individualista, che ci porta a rivendicare diritti ma a fare fatica a riconoscere i nostri doveri. Un elemento che dovrebbe caratterizzare oggi la presenza cristiana in politica è certamente legato ad uno stile che sia centrato sull’ascolto. Oltre a competenza e capacità di comunicazione, occorre saper ascoltare quanto emerge dalla società civile, stando attenti a non dimenticare le persone e i gruppi che spesso non vengono ascoltati, ma anche cogliendo le energie positive che vengono espressi dai cittadini, dai territori e dalle formazioni sociali. Più in generale, occorre uscire dalle logiche di bandiera e cercare una mediazione alta, che non sia la somma di tanti piccoli interessi individuali, ma un passo in avanti per tutti verso il bene comune.

Cosa porterete del Codice nelle Settimane sociali?
Il primo elemento è senza dubbio la coralità. Il Codice non ha un unico autore. In tanti hanno lavorato assieme e si sono confrontati, a volte anche duramente, per trovare un equilibrio. Un metodo per uscire da una visione individualista e iniziare a camminare insieme. Anche la 50esima Settimana Sociale vuole mettersi in questa scia. Come già accaduto nelle precedenti, credo che questa sarà soprattutto una settimana corale, in cui si lavora assieme nei “laboratori della partecipazione”, nelle “piazze della democrazia” e nei “villaggi delle buone pratiche”. Tanti momenti per essere un popolo che partecipa insieme e celebra il gusto di vivere in un Paese democratico. Una democrazia che abbiamo ricevuto da chi ha lottato per istaurarla, difenderla e migliorarla, e che adesso ci è affidata perché a nostra volta la possiamo trasmettere alle prossime generazioni.

Matteo Marcelli

Pubblicato su Avvenire del 22 luglio 2023