Al cuore della Democrazia

Settimane Sociali

Verso Trieste: il ruolo (fondamentale) dei corpi intermedi

Verso Trieste: il ruolo (fondamentale) dei corpi intermedi

La partecipazione sarà il tema al cuore della Settimana Sociale di Trieste. Ma come si esercita questa partecipazione all’interno della società? Una delle riflessioni centrali verte sulla salute e sul dinamismo dei cosiddetti “corpi intermedi”, realtà sociali come la famiglia, le imprese, le associazioni, le fondazioni, i partiti. Flavio Felice, chairman di Tocqueville-Acton e professore all’Università del Molise, già componente del Comitato Scientifico e Organizzatore delle Settimane Sociali, preferisce un’altra definizione: “Corpi intermedi? A me non piace. Uso questa espressione perché è entrata nel lessico e serve a farsi capire, ma ne preferisco un’altra, tipicamente sturziana perché coniata da don Luigi Sturzo: enti concorrenti”. Se la locuzione ‘corpi intermedi’ “fa immaginare che esista uno spazio tra gli individui e le autorità politiche, che deve essere sostanzialmente occupato e che finisce per diventare una cinghia di trasmissione del potere”, l’espressione ‘ente concorrente’ ci ricorda che “lo spazio pubblico non è monopolizzato dallo Stato. Lo Stato non è al vertice della realtà pubblica, ma è uno dei tanti enti che operano, cooperano e competono per il bene comune”. Una locuzione, insomma, che non contempla monopolisti: “Gli enti concorrenti sono un argine contro la pretesa dello Stato, ma anche altre entità come le imprese multinazionali, di essere monopolisti ed egemoni dello spazio pubblico”.
Altro tema chiave legato alla partecipazione è la sussidiarietà, concetto entrato esplicitamente nella Dottrina Sociale della Chiesa con la Quadragesimo Anno di Pio XI ma di fatto già presente da secoli nel lavoro dei pensatori cristiani: “Quando si andavano costituendo le libere città e i liberi comuni, frati francescani come Bonaventura da Bagnoregio hanno reso possibile che emergesse un principio fondamentale che affonda le sue radici nella civiltà cristiana e occidentale, ovvero che lì dove qualcuno sia in grado di operare direttamente per risolvere un problema, lì è sovrano di sé stesso”. Tra i precursori, Felice cita anche il giurista trecentesco Bartolo da Sassoferrato. Ma cosa indica davvero il principio di sussidiarietà? “Il principio di sussidiarietà stabilisce che i corpi intermedi o enti concorrenti sono strumenti di autogoverno, e che una società di ordine superiore non deve sostituirsi a una società di ordine inferiore, ovvero la realtà più prossima alla soluzione del problema”. “Quest’ultima – spiega – è la dimensione negativa del principio di sussidiarietà, mentre quella positiva prevede che la società di ordine superiore è tenuta a intervenire con il suo aiuto, il suo subsidium, per sostenere temporaneamente la società di ordine inferiore nella soluzione del problema”. Felice cita un esempio spesso ripetuto ai suoi studenti: “L’ente superiore che aiuta quello inferiore è come un genitore che aiuta il bambino ad andare in bicicletta. Lo aiuta, certo, ma prima o poi dovrà lasciarlo andare”.

I corpi intermedi o enti concorrenti non hanno bisogno di essere fondati o creati dallo Stato, ma “vivono di vita propria”, concetto decisivo per una “cultura dell’autogoverno”, cioè l’idea che non tutto dipenda da un ente superiore. Felice chiarisce la diversità tra due categorie molto importanti in ambito di teoria politica, ovvero la dimensione pubblica delle persone, lo status “publicus”, ovvero la presenza pubblica di ciascuno nel campo familiare, amicale, civile e lo status di “rei publicae”, cioè la “reificazione della dimensione pubblica di ciascuna persona”. Il principio di sussidiarietà ha molto a che fare con il primo, lo status “publicus”, nella consapevolezza che non esiste distinzione tra pubblico e privato e che “ogni azione è posta nella sfera pubblica”, mentre lo status di “rei publicae” contempla una sfera pubblica a sé stante che deve essere egemonizzata e occupata da un apparato, cioè lo Stato. Per i corpi intermedi o enti concorrenti è fondamentale che prevalga la prima visione secondo cui “la nostra azione è pubblica di per sé” e che solo “in condizioni di difficoltà” è possibile accedere al pubblico reificato. È importante, continua, “capire che le questioni pubbliche hanno a che fare direttamente con le nostre decisioni e il nostro operare nella società, senza la necessità di delegare altri, è la via dell’autogoverno che sta alla base stessa della democrazia”.
Questa visione è ribadita anche dai Padri Costituenti: “L’Italia – spiega Felice – è una Repubblica democratica, all’interno della quale vi sono molte componenti come i Comuni, le Province, le Regioni, gli enti e c’è anche lo Stato, così come spiega l’articolo 114 della Costituzione. L’Italia è una Repubblica Democratica dove c’è anche lo Stato, ma non solo lo Stato. Il buon governo della Repubblica passa per i buoni governi di tutte le componenti che compongono la Repubblica”. In questo senso, anche le Buone Pratiche presenti alla Settimana Sociale di Trieste non sono storie sporadiche o solo buoni esempi da imitare, ma enti concorrenti che incarnano lo spirito della Costituzione.
Felice conferma le sue attese per la prossima Settimana Sociale: “Mi aspetto che rifletta propriamente sulla cultura dell’autogoverno. La democrazia è una discussione su questioni di interesse comune, un dialogo in cui anche il conflitto è dimensione necessaria. Nessuno si mette nella piazza pubblica pretendendo di avere la verità in tasca, ma ciò che è bene lo si capisce solo nella discussione. La cultura dell’autogoverno non può essere offuscata da quella della dipendenza e della rassegnazione, che suggerisce di consegnarsi a qualche imbonitore che decida del nostro destino. Spero che la Settimana Sociale abbia la capacità di recuperare il bagaglio della cultura del cattolicesimo civile e lo renda fruibile anche nel mondo contemporaneo”. E sulla partecipazione, ribadisce come non basti partecipare, ma occorra farlo attivamente: “Sartori distingueva tra il partecipazionismo puro che puntella il potere di chi lo gestisce e la partecipazione che è controllo e limite al potere. Sturzo avrebbe tanto da insegnarci, perché la partecipazione sia un argine al potere che ha la tendenza di occupare tutti gli spazi: serve invece una partecipazione di autogoverno, nel quale i cittadini controllino chi detiene il potere”.

Andrea Canton